G8: le testimonianze

Come un governo di merda e una polizia fascista hanno trasformato una normale manifestazione.
Dario Fo sul G8
Stefano Agnoletto
Luigi
una studentessa di Palazzo Nuovo
Gian Paolo Ormezzano
Anna Chiara Novero
Alessandra Baduel
Enrico
Sara
un poliziotto

ORA SAPPIAMO COSA E' SUCCESSO E CHI SONO I RESPONSABILI
La televisione ha mostrato i ragazzi feriti  per terra con gli agenti che si accanivano su di loro a calci e manganellate.  E questo senza che la voce degli speaker televisivi si levasse a commentare. Franca era in mezzo ai cortei, venerdì e sabato, e ha visto di persona come si difendesse la legalità: i manifestanti a mani alzate venivano asfissiati coi gas e poi bastonati. Hanno gasato con questi nuovi lacrimogeni, tremendi, persino un gruppo di frati e suore che pregavano e poi hanno bastonato anche loro. E fa impressione chi dice: "I poliziotti sono stati attaccati, dovevano difendersi". Benissimo, ma dovevano difendersi da chi li attaccava o attaccare a loro volta chi manifestava pacificamente? E perché poi si sono messi a spaccare le braccia a un giornalista del Resto del Carlino? Fiancheggiava anche lui i Black Bloc?
I giornali e i siti internet si stanno riempiendo delle testimonianze di persone che denunciano le violenze subite o quelle alle quali hanno assistito. Piu' di 200 persone fermate dalla polizia hanno denunciato di essere state portate nella caserma Bolzaneto, fatti passare tra due file di poliziotti che li percuotevano, li insultavano e minacciavano le donne di stupro, inneggiando al nazismo, a Pinochet, allo sterminio degli ebrei. Dario ha ascoltato, a un festival dell'Unità, la testimonianza di alcuni giovani appena rilasciati. Confermano le dichiarazioni di tutti gli altri imprigionati, li hanno picchiati, tenuti in piedi addirittura per 12 ore a gambe larghe, chi non riusciva a resistere veniva picchiato di nuovo. Ogni tanto buttavano negli stanzoni gas lacrimogeni o irroravano i ragazzi con gas orticanti. C'era un extracomunitario con una protesi artificiale alla gamba e un uomo malato che si reggeva a stento in piedi. Alcuni erano arrivati lì già feriti, appena dimessi dall'ospedale, e hanno subito le stesse torture. Quasi tutti questi fermati sono poi stati rilasciati perché non c'erano prove di nessun tipo a loro carico.
Uno era un operatore tv, Timothy Ormezzano, figlio di un giornalista della Stampa, sfregiato da una ferita alla bocca, e percosso in tutto il corpo. Alfonso De Mauro, un fotografo conferma la stessa storia. Ha un piede rotto, una costola incrinata, il volto tumefatto e il corpo pieno di lividi. C'è un ragazzo inglese, Mark Covell, con uno sfondamento toracico, e Lena Zulke, cittadina tedesca, con un polmone sfondato, entrambi sono ancora in rianimazione. Una madre è riuscita a ritrovare la figlia solo dopo 3 giorni di ricerca disperata, grazie all'aiuto non dell'autorità ma di alcune giornaliste. La madre ha ritrovato Anna Giulia Lutschkal, 21 anni, nel carcere di Voghera, con i denti davanti tutti spezzati e in stato di shock. Anche questa ragazza è stata poi rilasciata perché non ci sono prove contro di lei.
Insomma sono accaduti fatti di una gravità assoluta. Il ministro degli Interni si indigna e dice che sono tutte frottole, non crede a queste denunce ma ora c'è anche un poliziotto della caserma Bolzaneto che ha confermato a Repubblica i pestaggi allucinanti, con agenti che facevano pipì addosso ai prigionieri e inneggiavano al nazismo. Ai fermati non veniva permesso neanche di andare in bagno e dopo ore erano costretti a farsela addosso. Il poliziotto dice che molti agenti hanno tentato di impedire il macello. Ma non c'e' stato niente da fare. Gli autori delle angherie erano in maggioranza guardie carcerarie del Gruppo Operativo Mobile provenienti da Roma. Si tratta di una squadra speciale, sotto il comando di un ex generale del Sisde (servizi segreti) creata nel 1997 sotto il governo dell'Ulivo che già fece parlare delle sue violenze a proposito di un'irruzione nel carcere di Opera. Lo stesso agente della caserma Bolzaneto dice che sono stati quelli del Reparto Mobile di Roma della Polizia di Stato gli autori della selvaggia incursione nella scuola Diaz, dove più di 60 ragazzi sono stati massacrati di botte mentre per lo più stavano ancora dentro i sacchi a pelo o erano seduti per terra con le mani in alto.
Come possiamo accettare che le forze dell'ordine sottopongano persone innocenti a forme di tortura fisica e psicologica? Ma attenzione: torturare i prigionieri è un atto indegno anche se questi fossero responsabili di lanci di pietre, come va raccontando la polizia. La Costituzione italiana prevede la detenzione e, quando è possibile, il recupero dei colpevoli non la loro tortura. E perché distruggere tutti i computer e le stampanti? Lanciavano pietre anche loro? E perché portarsi via i nastri video delle riprese dei cortei con testimonianze dei relativi pestaggi? Non è possibile nessuna convivenza civile laddove alcuni elementi delle forze dell'ordine possono credersi in diritto di violare la legge in modo così grave e abietto senza incorrere nei rigori della legge stessa. Il fatto che ci siano dei criminali che hanno devastato la città e aggredito le forze dell'ordine non può essere un pretesto per un comportamento illegale. Le forze dell'ordine esistono proprio perché si dà per scontato che esistano dei criminali e che si debba incaricare qualcuno di fermarli.
E' evidente che dovremo impegnarci a fondo per ottenere che questi comportamenti vengano stroncati. Non sarà facile. Ottenere giustizia è un percorso lungo. E qui nasce un secondo discorso che oggi è di importanza cruciale. Abbiamo sentito molti compagni testimoniare: "Sono andato con le mani alzate, mi hanno picchiato, la prossima volta sarò pronto a difendermi!". E altri esclamare: "Voglio giustizia e la voglio subito!". Ecco noi siamo veramente preoccupati per il modo nel quale la sinistra, nel suo complesso, sta agendo. Non parliamo tanto di questo o di quel gruppo politico ma della cultura, del modo di intendere la realtà. Ad esempio in questi mesi stiamo collezionando disastri che qualcuno ha il coraggio di salutare con entusiasmo. La sinistra si è presentata alle elezioni divisa ed è stata battuta e Bertinotti e l'Unita'  hanno detto: "Abbiamo vinto!" In molti avevamo proposto di fare una festa lontano da Genova come era accaduto per Porto Alegre ed evitare di cadere nella trappola e di trovarci con un morto e centinaia di feriti. E ci tocca di leggere sul Manifesto proclami di vittoria perché comunque il corteo c'è stato e non ci hanno ammazzati tutti.
Scusate ma noi abbiamo un'altra concezione della vittoria. Sembra addirittura che molti siano caduti nella logica del "tanto peggio, tanto meglio!" Sperate veramente che se ci picchiano più forte il popolo italiano si ribellerà? Avete un'idea della sofferenza come fattore positivo per il progresso dell'umanità? Bisogna iniziare a ragionare in modo più razionale cercando di capire che le azioni non devono solo essere giuste ma anche efficaci. Andare a Genova ad assediare il G8 era una scelta giusta, sacrosanta, ma non aveva nessuna capacità di aiutarci a far capire agli italiani che i potenti del mondo stanno facendo danni enormi a tutta l'umanità. Altrettanto evidente, e l'abbiamo ripetuto alla nausea, era che le manifestazioni sarebbero finite in un massacro e che i mass media legati al potere, cioè quasi al completo, ci avrebbero indicati come i colpevoli di tutto.
Il Movimento non può consolarsi dicendo "Ma non è stata colpa nostra, sono gli altri i criminali." E' vero che i criminali sono gli altri ma è vero anche che le loro azioni sono prevedibili come quelle delle telenovelas: il morto fa parte dell'audience. Il Movimento deve scegliere se condurre azioni che costringano l'avversario a fare certe mosse e non altre.  E' come a scacchi, se non ragioni sull'efficacia delle mosse regali la partita all'avversario. Da questo punto di vista i potenti del mondo, come quasi sempre, sono stati molto più abili e efficienti. Il loro obiettivo, spero che ora sia evidente a tutti, era quello di trascinarci in una rissa per impedire che la nostra voce venisse seriamente ascoltata. Non c'e' nessuno all'interno del Movimento che non abbia notato e detto e scritto che tutto il modo nel quale le forze dell'ordine hanno gestito la piazza sembrava proprio studiato per arrivare al macello. Hanno difeso perfettamente, con le truppe migliori la Zona Rossa, hanno mandato i ragazzi di leva in prima linea, su mezzi che non reggevano neppure le sassate, su mezzi non dotati di reti di protezione, e hanno lasciato che ufficiali incompetenti ordinassero manovre d'attacco che più volte hanno messo a repentaglio la vita degli agenti. Non hanno controllato il territorio fuori dalla Zona Rossa, non sono intervenuti contro il blocco nero, non si sono preoccupati che i manifestanti pacifici venissero distinti dai violenti, non hanno impedito che gruppi di agenti praticassero ogni sorta di brutalità. Loro sono riusciti a manovrarci in modo efficiente. Hanno vinto a Genova e stanno vincendo in tutta Italia perché centinaia di compagni stanno pensando a come vendicarsi di tanta inumana violenza. E il sospetto che molti dei Black Bloc fossero agenti speciali e provocatori provenienti da mezza Europa con il compito di provocare dovrebbe far riflettere almeno un istante.
E poi si scopre che 300 Black bloc sono restati per 4 giorni a esercitarsi nel campo sportivo di Quarto, a 400 metri da una caserma, e si sono messi in tenuta da guerra sotto gli occhi della polizia senza che nessuno intervenisse. E si scopre pure che i vertici della polizia sapevano che gruppi di nazisti stavano arrivando a Genova per infiltrarsi nei cortei. Forse qualcuno voleva proprio essere certo che ci fossero scontri. Ne aveva l'assoluta necessità. Riprovano un vecchio gioco. Portare il Movimento allo scontro. Un centinaio di terroristi di sinistra ben organizzati, incazzati e infiltrati sono quello che vogliono ora. E sanno benissimo come si costruisce un terrorista: picchia 100 ragazzi pacifici e otterrai una belva assatanata di sangue! Ma veramente pensate che abbiano paura di noi che urliamo in piazza? O che qualche terrorista uccida qualche poliziotto? Ma credete che temano le petizioni, le denunce, i sit-in o le molotov? Se volete capire come vanno le cose dovete guardare gli indici azionari. E' quello il termometro del benessere della nostra lotta. Berlusconi guarda gli indici azionari e finché stanno bene lui sa di essere al sicuro. Le giornate di Genova hanno lasciato gli indici indifferenti. Guardate invece che cosa ha ottenuto il boicottaggio della McDonald's o della Exxon: grave flessione delle vendite, danno d'immagine, caduta del titolo in borsa, milioni di dollari di capitalizzazione andati in fumo.
E' meraviglioso, puoi fare più danni non mangiando un panino che tirando un sasso.
Dario Fo

Cari amici,
mi permetto di inviarvi un mio breve resoconto su Genova. Allora io ero a Genova. Io ho visto. Non date retta ai giornali ed ai telegiornali. E' stata una cosa pazzesca, un massacro. E' difficile raccontare ciò che è avvenuto tra venerdì e sabato. Per farlo mi aiuto con quello che ho visto io e quello che hanno visto altri carissimi amici presenti a Genova. Vi prego di avere la pazienza di leggere è veramente la cronaca di un incubo che difficilmente sentirete sui grandi mass media.
1. Io arrivo giovedì a Genova dopo la festosa manifestazione dei migranti, 50.000 persone. Ci sono i campi di raccolta, siamo tantissimi. Migliaia di persone assolutamente pacifiche, un clima meraviglioso (mi ricordava i miei campi scout). Si discuteva si cantava si stava bene insieme. Scout e militanti, volontari e professionisti e venerdì mattina iniziamo le piazze tematiche in una città blindata: le varie associazioni si troveranno sparse nella città per fare un assedio festoso con danze, performance e slogan alla famosa zona rossa. A questo punto sul lungo mare arriva il famoso black block, alcuni di loro vengono visti parlare con la polizia, altri direttamente escono dalle loro fila. Parlano soprattutto tedesco. Iniziano a sfasciare tutto. Polizia e carabinieri stanno fermi. I Black block cercano di infilarsi nel corteo dei lavoratori aderenti ai COBAS e altri sindacati, di cui picchiano uno dei leader, vengono respinti a fatica. Poi i black block puntano sulla prima piazza tematica (centri sociali), piombano armati fino ai denti. La polizia li insegue, i manifestanti si trovano attaccati prima dai black e poi dalla polizia che a quel punto inizia le cariche violentissime. I Black se ne vanno e piombano sulla piazza dove c'era la rete di Lilliput (commercio equo, gruppi cattolici di base, Mani Tese..ecc.). La gente facendo resistenza pacifica cerca di allontanarli. La polizia insegue: carica la piazza. La gente alza le mani grida pace! Volano lacrimogeni manganellate. Ci sono feriti. I Black se ne vanno e continuano a distruggere la città... 300-400 del Black Bloc vagano per Genova, chi li guida conosce perfettamente la città: il loro percorso di distruzione punta a raggiungere tutte le piazze tematiche dove ci sono le iniziative del movimento. E' impressionante. Si muovono militarmente, si infiltrano, i capi gridano ordini, gli altri agiscono. E a ruota arrivano polizia e carabinieri. Intanto nella piazza tematica dove c'è l'ARCI e l'Associazione Attac ecc. tutto va bene, nel primo pomeriggio si decide di andarsene dal confine con la linea rossa fino ad allora assediata con canti, scenette, ecc. La gente sfolla verso Piazza Dante, la polizia improvvisamente lancia lacrimogeni alle spalle. Fuggi fuggi generale. Gli ospedali si riempiono di feriti. Molti pero' non vanno a farsi medicare in ospedale: la polizia ferma tutti quelli che ci arrivano.
E' sera. La gente è sconvolta, molti inziano a essere presi dalla rabbia. Dei black improvvisamente non si ha più notizia. Alla cittadella dove c'è il ritrovo del Genoa Social Forum saremo diecimila. E' arrivata la notizia della morte del ragazzo. C'è paura, i racconti di pestaggi violentissimi si moltiplicano. Ragazzi e suore che piangono. C'è un sacco di gente ferita. Un anziano che piange con una benda in testa, è un pensionato metalmeccanico. C'è Don Gallo della Comunità di San Benedetto. C'è la mamma leader delle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, quelle che da anni cercano notizie dei loro figli desaparecidos: dice che e' sconvolta per quello che ha visto con i suoi occhi, gli ricordano troppo l'Argentina della dittatura: non pensava fosse possibile in Italia. Intervengono mio fratello, Luca Casarini delle tute bianche e Bertinotti (l'unico politico che ha avuto il coraggio di correre); calmano tutti: ragazzi non uscite in piccoli gruppi, non accettate la sfida della violenza. Si decide che la risposta sarà la grande manifestazione del giorno dopo, saremo in tantissimi, pacificamente contro tutte le provocazioni e le violenze di black block e forze dell'ordine. Il senatore Malabarba racconta che e' stato in questura. Ha trovato strani personaggi vestiti da manifestanti, parlano tedesco ed altre lingue straniere. Confabulano con la polizia e poi escono dalla questura. Scoppia improvvisamente un incendio in una banca vicino alla cittadella. Gli elicotteri ci sono sopra: per più di 40 minuti non arrivano né pompieri né niente. Di notte uno dei campi dove siamo a dormire, il Carlini, viene circondato dalla polizia. "Entrate a perquisire, fate quello che volete". La gente piange: implorano di non essere ancora caricati. La polizia entra: nel campo non trova niente.
2. Sabato: la grande manifestazione, siamo veramente una moltitudine. Il corteo parte, ci sono mille colori. Gente di tutto il mondo. Tutte le associazioni, il volontariato, i contadini, i metalmeccanici, i curdi, ecc. Canti, danze, mille bandiere. Piazzale Kennedy. Non ci sono scontri. Non c'è niente. Sbucano i black Block La polizia improvvisamente, senza alcun motivo, spacca in due l'enorme manifestazione. Si scatena la guerra. Cariche dovunque, manganellate. Sono impazziti. La polizia carica i metalmeccanici della FIOM, i giovani di Rifondazione. Iniziano inseguimenti per tutta Genova. Chi rimane solo è inseguito, picchiato. Decine di persone testimoniano di inseguimenti e pestaggi solo perché riconosciuti come manifestanti. E' picchiato dalla polizia un giornalista del Sunday Times (sul numero di oggi racconta la sua avventura...). In un punto tranquillo della manifestazione, sul lungomare, improvvisamente da un tetto vengono sparati lacrimogeni che creano panico. Usano gas irritanti, producono dermatiti, non fanno respirare. I Black Block? compaiono e scompaiono, nessuno li ferma. Attaccano un ragazzo di Rifondazione. Gli spaccano la bandiera e lo picchiano. Attaccano a pietrate i portavoce del Genoa Social Forum. Spaccano vetrine ed incendiano. Sono armati fino ai denti: ma come ci sono arrivati nella Genova blindatissima? La testa della grande manifestazione è tranquilla, il Genoa Social Forum fa l'appello di defluire con calma, di non girare da soli per la città. Veniamo indirizzati verso Marassi dove ci sono i pulman di quelli arrivati la mattina. Siamo fermi lì. Non si può andare avanti: a piazzale Kennedy è guerra. Siamo in tanti fermi, seduti per terra. Improvvisamente partono i lacrimogeni. Fuggi fuggi generale. Si cerca di tornare verso la cittadella del Genoa Social Forum: passano camionette della polizia da dove urlano: vi ammazzeremo tutti! La seconda parte del corteo non arriverà mai alla piazza dove era prevista la conclusione. Tutte le persone vengono caricate indistintamente sul lungo mare. Chi riesce scappa nei vicoli verso la collina, dove si scatena una vera e propria caccia all'uomo. Sabato notte, la manifestazione era ormai finita da alcune ore, la polizia irrompe nella Sede stampa del Genoa Social Forum. Picchiano tutti con una violenza impressionante. In particolare sono interessati alla documentazione (testimonianze, video, foto...ecc.) che raccontano quello avvenuto tra venerdì e sabato: sono molti attenti a distruggere tutto. Vengono distrutti tutti i PC e tutto il materiale che trovano, viene arrestato l'avvocato che coordina il gruppo di avvocati presenti a Genova. Viene distrutto o portato via anche tutto il materiale che gli avvocati avevano raccolto per difendere le persone arrestate. Adesso non si sa più neanche quante sono e quali sono le accuse. Durante la perquisizione, fatta senza alcun mandato, a parlamentari, avvocati, giornalisti e medici è impedito di entrare. Le famose armi comparse oggi in conferenza stampa ieri non si erano viste... rimangono i feriti e gli arrestati. Del black blok non si sa più niente.
Vi assicuro, due giorni da incubo: black block e forze dell'ordine hanno fatto un massacro e volevano farlo. Poliziotti e carabinieri erano stati montati in modo pazzesco, fin da venerdì mattina urlavano e insultavano. Gli hanno veramente lavato il cervello. E poi oggi a sentire televisioni e leggere giornali: Dio mio sembra proprio un regime: dove hanno scritto la verità che tutti noi che eravamo lì abbiamo visto? Divento poi matto a pensare che alcuni potranno ancora pensare: "voi contestatori, dite le solite cazzate..." Non fatevi imbrogliare, abbiate il coraggio di mettere in discussione i vostri convincimenti sulle meravigliose forze dell'ordine italiane e sugli apparati democratici del nostro Stato. A Genova veramente è avvenuto qualcosa di pazzesco. Hanno inaugurato il nuovo governo.... Un'altra piccola cosa: sul giovane ammazzato. La sapete la prima versione della questura prima che comparissero i video? ammazzato da un sasso lanciato da altri manifestanti... Se pensate che molta della documentazione raccolta da testimoni è stata distrutta dopo l'irruzione alla sede del Genoa Social Forum di questa notte... ci rimangono le "sicure" versioni delle forze dell'ordine... Meditate e per favore fate girare, stampate, parlate, c'è bisogno di raccontare la verità. A vostri amici, parenti, colleghi di lavoro. Vi prego non voltatevi dall'altra parte. Grazie

Stefano Agnoletto



Ciao a tutti.
Ho partecipato alle manifestazioni di Genova di venerdì e sabato, quelle degli scontri. Quello a cui ho assistito e quello che ho vissuto è difficile da raccontare, ancora più difficile forse da credere, per chi non c'era. Vi prego solo di leggere per intero questa e-mail e di credermi quando vi dico che ciò che vi racconterò è tutto vero. Sono cose a cui io stesso ho assistito o cose che mi sono state raccontate da amici carissimi. L'informazione, in special modo quella televisiva, sta tentando di stravolgere la realtà in un modo allucinante.
Non trovo le parole adatte a descrivere lo stato emotivo in cui mi trovo, e in cui si trovano tutte le persone che erano a Genova con cui ho parlato oggi. Per tre giorni siamo stati privati dei diritti elementari, siamo stati braccati da Polizia e Carabinieri, molti sono stati picchiati, insultati, minacciati. Un ragazzo è stato ucciso. Le forze dell'ordine dovrebbero servire a permettere lo svolgimento della manifestazione, dovrebbero difendere chi manifesta democraticamente. A Genova, invece, i manifestanti sono stati carne da macello. Sequenza 1. Già alla partenza da Milano, capiamo che da quel momento non siamo più cittadini a tutti gli effetti. Prima di salire sul treno veniamo perquisiti come criminali, uno ad uno. Fin qui va bene, è per la sicurezza. Il treno impiega 8 ore per arrivare a Genova, quando normalmente ne servono due. Nessuno ci avvisa, nessuno ci spiega. Arrivati a Genova (alle cinque del mattino), una delle poche note positive. Troviamo una sistemazione per dormire in un campo sportivo trasformato in campeggio. Il clima è bellissimo. Migliaia di persone dormono fianco a fianco, nei sacchi a pelo, con negli occhi ancora le immagini della manifestazione pacifica di giovedì 19. C'è voglia di condividere un'esperienza importante e un'attesa piena di speranza per il giorno seguente.
Sequenza 2. La mattina dopo, il brusco risveglio. Venerdì le varie associazioni si troveranno sparse nella città per fare un assedio festoso con danze, performance e slogan alla famosa zona rossa. Nella piazza in cui ero io, il corteo è pacifico, si canta e si balla accanto alle barriere di metallo innalzate a difesa degli otto grandi. Si batte il ritmo sulle inferiate e si gridano slogan contro i G8 e la blindatura della città. Di colpo la Polizia apre gli idranti con acqua al peperoncino che brucia gli occhi. Lo fa una, due volte, ma nessuno perde la calma.
Sequenza 3. La calma è invece cessata in altri punti della città. Sul lungo mare arriva il famoso black block, alcuni di loro vengono visti parlare con la polizia, altri direttamente escono dalle loro fila. Iniziano a sfasciare tutto. Polizia e carabinieri stanno fermi. I Black block cercano di infilarsi nel corteo dei lavoratori aderenti ai COBAS e altri sindacati, di cui picchiano uno dei leader, vengono respinti a fatica. Poi i black blok puntano sulla prima piazza tematica (centri sociali), piombano armati fino ai denti. La polizia li insegue, i manifestanti si trovano attaccati prima dai black e poi dalla polizia che a quel punto iniziano le cariche, violentissime. I Black se ne vanno e piombano sulla piazza dove c'era la rete di Lilliput (commercio equo, gruppi cattolici di base, Mani Tese, pacifisti, ecc.). La gente facendo resistenza pacifica cerca di allontanarli. La polizia insegue: carica la piazza. La gente alza le mani grida pace! Volano lacrimogeni e manganellate. Ci sono feriti. I Black se ne vanno e continuano a distruggere la città... 300-400 del Black Block vagano per Genova, chi li guida conosce perfettamente la città: il loro percorso di distruzione punta a raggiungere tutte le piazze tematiche dove ci sono le iniziative del movimento.. E' impressionante. Si muovono militarmente, si infiltrano, i capi gridano ordini, gli altri agiscono. E a ruota arrivano polizia e carabinieri che caricano indiscriminatamente, mentre i Black si dileguano.
Sequenza 4. E' arrivata la sera, saranno le sei. Dei black block non si ha più notizia. Si diffonde la voce che i Carabinieri hanno ucciso un manifestante. Ci raduniamo nella cittadella del Genoa Social Forum, sul lungo mare, siamo circa diecimila. Siamo tutti esausti, arrivano voci di decine di feriti ricoverati negli ospedali e almeno il doppio che hanno preferito non farsi ricoverare per evitare la schedatura. Arriva Bertinotti (unico politico che ha avuto il coraggio di presentarsi) che riesce a calmare un po' gli animi. Vorremmo tornare ognuno al proprio campeggio, ma i responsabili del GSF, dal palco, continuano ad implorarci di non uscire dalla cittadella: la polizia è impazzita e ha iniziato a picchiare chiunque abbia l'aspetto di un manifestante. Ogni cinque minuti la voce dal microfono grida: "Non uscite, è pericoloso! Stiamo trattando con il sindaco per avere degli autobus che vi accompagnino ai campeggi. Ripeto è pericoloso camminare per Genova, la polizia è fuori controllo". La tensione è alle stelle. C'è paura, i racconti di pestaggi violentissimi si moltiplicano. Ragazzi e suore che piangono. C'è un sacco di gente ferita. Un anziano che piange con una benda in testa, è un pensionato metalmeccanico. Il senatore Malabarba racconta che è stato in questura. Ha trovato strani personaggi vestiti da manifestanti, parlano tedesco ed altre lingue straniere. Confabulano con la polizia e poi escono dalla questura. La tensione aumenta ogni volta che gli elicotteri sorvolano la cittadella illuminandoci con un enorme faro. Restiamo letteralmente imprigionati per oltre quattro ore, finché non arrivano gli autobus che ci riportano ai campeggi, sfiniti. Di notte uno dei campi dove i manifestanti dormono, il Carlini, viene circondato dalla polizia. Entrate a perquisire, fate quello che volete, dicono i manifestanti. La gente piange: implorano di non essere ancora caricati. La polizia entra: nel campo non trova niente. Nel nostro campeggio la gente discute, ma i sentimenti più diffusi sono la paura e lo sconcerto per quanto sta succedendo. Ci addormentiamo inquieti e preoccupati per quanto potrebbe accadere l'indomani.
Sequenza 5. Sabato mattina, parte la grande manifestazione. Siamo tantissimi, 300 mila. L'inizio è tranquillo, canti, balli, centinaia di bandiere, colori, lingue diverse. Ci sono ambientalisti, contadini, associazioni dei diritti civili, gente comune, anziani, genitori con i propri figli. Ad un certo punto, senza ragione, la polizia spezza il corteo in due, in piazzale Kennedy. Dal nulla, sbucano fuori i soliti del black block: scoppia l'inferno. La polizia inizia a caricare tutti e due gli spezzoni del corteo. La testa riesce ad andare avanti, lo spezzone di coda rimarrà immobile sotto il sole fino a sera. Iniziano inseguimenti per tutta Genova, la polizia picchia indiscriminatamente. Lo spezzone di coda del corteo è stretto da un lato da un muro altissimo, dall'altro c'è il mare. Davanti c'è il blocco della polizia, dietro c'è la massa di persone. Di colpo la polizia inizia a lanciare lacrimogeni contro il corteo: sono tutti seduti con le mani alzate, inermi. Il gas dei lacrimogeni è orticante, brucia gli occhi e non fa respirare. L'unica via di fuga è buttarsi nel mare. Cinquecento persone si ritrovano a mollo, per trovare riparo dal gas. Anche gli elicotteri sparano lacrimogeni dall'alto, dal mare arrivano altri carabinieri. Intanto i black block scorrazzano ovunque, nessuno li ferma. Picchiano un ragazzo di Rifondazione, prendono a sassate i portavoce del Genoa Social Forum, incendiano, spaccano tutto. Io sono alla testa del corteo, dove la situazione è tranquilla. Quelli del Genoa Social Forum ci invitano a defluire: bisogna liberare la piazza dove finisce il corteo per permettere a chi sta dietro di fuggire dalle cariche della polizia e dai lacrimogeni che vengono sparati senza sosta. Arriviamo al Marassi, dove ci sono i pulmann per chi deve ripartire. Dobbiamo stare fermi lì, nel resto della città è guerra. Anche lì, dal nulla, cominciano ad arrivare i lacrimogeni e c'è un accenno di carica: contro gente ferma o sdraiata ad aspettare che partano i pullman, la gente comincia a correre, raggruppandosi il più lontano possibile da fumo, ma tutte le vie di fuga sono bloccate. Da qui, dopo aver trovato altre persone con cui attraversare a ritroso la città, partiamo: dobbiamo tornare alla cittadella del GSF, sul lungomare, per recuperare gli zaini e capire quando e come poter tornare a casa. Ci dicono di stare attenti: nella città la polizia ha scatenato una vera e propria caccia all'uomo. Incrociamo alcune camionette della polizia da cui ci urlano "vi ammazzeremo tutti!" o da cui i poliziotti con la mano mimano una pistola che spara verso di noi, ridendo.
Sequenza 6. La manifestazione è finita da alcune ore. A mezzanotte la polizia irrompe nel centro stampa del GSF. Massacrano di botte tutti quelli che si trovano dentro, tra cui gli avvocati dell'ufficio legale del GSF di cui arrestano il responsabile. C'è sangue ovunque: sui muri, sugli oggetti, sul pavimento, in pozze. Distruggono tutti i computer dell'ufficio legale con dentro decine e decine di testimonianze raccolte durante gli scontri. Requisiscono o distruggono tutti i documenti con le testimonianze e tutte le videocassette con i filmati che provano le violenze gratuite della polizia durante le manifestazioni di venerdì e sabato. Durante la perquisizione, ad avvocati, giornalisti, parlamentari, medici e registi presenti è impedito di entrare. Vittorio Agnoletto e alcuni parlamentari vengono picchiati. Le famose armi comparse in conferenza stampa, sabato notte non si erano viste, e comunque sarebbero state trovate nell'altra scuola perquisita, che fungeva solo da dormitorio per i manifestanti.
Questi tre giorni sono stati un incubo, e l'incubo è proseguito oggi quando ho visto i telegiornali. A parte il tg3 e un po' il tg2, tutti gli altri danno notizie completamente manipolate: è allucinante. Vi prego, non prendete sul serio quello che dicono i media. Stanno stravolgendo la realtà. Sono atterrito. Ho paura. Comincio a rendermi conto di quello che è successo a Genova e ho dentro una rabbia che mi fa piangere. I diritti più elementari sono stati sospesi, l'informazione è completamente sotto il controllo di chi ha voluto e perpetrato questo massacro. Riflettete su questo: prima che venissero fuori le immagini della sparatoria in cui è morto il manifestante, la versione della polizia era che il ragazzo era stato ucciso da un sasso tirato da un altro manifestante. Dato che molta della documentazione raccolta dal GSF è stata distrutta o requisita dalla polizia, rimangono le versioni di governo e forze dell'ordine... E' importante che il maggior numero di persone sappia la verità. Fate girare questa email, parlate con i vostri conoscenti.

Luigi



Ciao.
Non è facile raccontare quello che è successo sabato, a Genova. Il dolore è ancora troppo forte, la rabbia troppo crudele, la tristezza troppo grande. Ma ancora più difficile è stare zitti, non dire niente, ricominciare la vita di tutti i giorni come se quello che abbiamo visto non fosse successo. Come se si potesse dimenticare di aver visto poliziotti picchiare a sangue ragazzi, donne, anziani, manifestanti pacifici che erano seduti a terra con le mani alzate. Non i famigerati black, no. Quelli la polizia li aveva fatti passare, loro erano dietro il cordone delle forze dell'ordine a distruggere la città, intoccabili e preziosi. Il loro vandalismo ha giustificato e legittimato agli occhi di tutti la violenza inaudita della polizia. Ma quella violenza non era rivolta a loro. Davanti alla polizia a prendersi le manganellate e i lacrimogeni loro non c'erano, c'eravamo solo noi, manifestanti pacifici. Noi disarmati, con le mani alzate, noi terrorizzati, a volto scoperto, noi paralizzati, dalla paura, dal dolore, dalla rabbia, dall'incredulità. Noi che da Cuneo eravamo venuti in pullman, e sembrava di andare a una gita, non nell'inferno di Genova, tanto le facce che avevamo intorno erano diverse da quelle dei "manifestanti" che ci aveva fatto vedere la televisione. C'erano famiglie, madri con i loro ragazzi, signore giovanili e allegre, anziani energici. Eravamo in 80, e alla fine della giornata tre di noi erano feriti gravemente, tutti gli altri erano stati picchiati o bombardati dai lacrimogeni. Ho visto una signora di 55 anni picchiata a sangue da un poliziotto: aveva i sandali e una gonna indiana, e la borsa a tracolla, era addossata a un albero, con le mani alzate, lui, corazzato e in assetto da guerra, come un pazzo la colpiva, la insultava, la minacciava: "se vieni un'altra volta a manifestare ti ammazzo". Ho visto un ragazzo asmatico che non riusciva a respirare né a muoversi per il fumo dei lacrimogeni, picchiato senza pietà da un poliziotto. Ho visto un altro ragazzo tornare al pullman con più di 7 manganellate in testa, la schiena distrutta dalle botte, la nuca gonfia e sanguinante. Anche lui era seduto, insieme agli altri, con le mani alzate, quando la polizia gli è piombata addosso, da tutte le parti. E ho visto il corteo. Quel meraviglioso fiume umano, lunghissimo, colorato, pacifico. Quel corteo che nessun giornale, nessuna televisione ha voluto far vedere, quelle trecentomila persone che non volevano distruggere niente, ma solo gridare al mondo che "un mondo migliore è possibile". Quel corteo che non si è lasciato spaventare da cosa era successo venerdì, quel corteo che, incredulo, si è visto precipitare addosso la furia della polizia. Ho visto anche i black, certo. Loro c'erano, ma erano cinquecento, forse 1000, in mezzo a trecentomila. Li ho visti distruggere e dare fuoco a una concessionaria, ma erano dietro al cordone della polizia, alle spalle di quegli stessi poliziotti che ci stavano picchiando a sangue, noi colpevoli solo di essere manifestanti.
Perché?

Una studentessa dell'Università di Torino



"Mio figlio, una maschera di sangue"
Voleva soltanto filmare le manifestazioni. E' stato arrestato e pestato a sangue. Contro di lui, soltanto un verbale-fotocopia. Dice di aver perso i suoi ideali, io li ho ritrovati. Un minuto dopo essere uscito dal carcere di Pavia, liberato da un magistrato genovese che non ha creduto all'atto di accusa stilato in fotocopia per tanti, resistenza e lesione a pubblico ufficiale durante la contestazione al G8, e che non ha neppure convalidato l'arresto, mio figlio ha disobbedito a me ed a sua madre. Gli avevo chiesto di farmi vedere tutte le ferite coperte dagli abiti, mi ha detto di no, dovevo "accontentarmi" dello scempio visibilissimo sul viso, otto punti al sopracciglio, un occhio circondato dal viola dell'ecchimosi e invaso dal sangue, il labbro rotto, e della visione della schiena, piagata dalle manganellate e dai colpi calati col calcio del fucile. Oh, si vedevano anche i segni delle manette che gli erano state strette troppo fortemente ai polsi, ma dire manette è un errore, il termine tecnico è un altro che lui sa e io no, sono specie di ceppi che segnano la carne. I pantaloni scendevano perché la cintura non c'era più, era stata sfilata di brutto all'ingresso in cella, rompendo tutti i passanti, e si vedeva qualcosa delle mutande piene di sangue. Però lui non ci ha lasciato vedere tutto, non voleva farci del male con quello "spettacolo".
Erano le 19 di lunedì. Settantacinque ore prima mio figlio, che ha 26 anni ed è creatura gentile, tenera, prudente sino ad essere paurosetta, massima esplosione di esuberanza fisica il tifo urlato e cantato per il suo e mio Toro, aveva compiuto il grave errore di partire con amici da una località di mare in provincia di Savona per andare a Genova e filmare - lui che studia anche giornalismo televisivo a Torino e mette insieme documentari assortiti - qualcosa del Genoa Social Forum, della contestazione contro il G8. Filmare e basta, cercando immagini di protesta corale e coreografica, filmare accanto a un gruppo di vecchie signore che vendevano magliette-ricordo. Una carica dura delle forze dell'ordine, è la zona dove è stato appena ucciso quel ragazzo, le signore alzano le mani, i suoi amici scappano, lui non può perché cercando di allontanarsi si inciampa, cade, resta in ginocchio, a mani alzate. Gli piombano addosso, quelli delle forze dell'ordine, e gli spaccano la telecamera e la faccia, gli tatuano la schiena, gli martoriano tutto il corpo. Tanti vedono, nessuno può intervenire. Se lo disputano come ricettacolo di colpi poliziotti e carabinieri: ad un certo punto lui si trova con una mano nella manetta di un agente, l'altra nella manetta di un carabiniere. Implora una scelta, mica possono squartarlo. Se lo aggiudicano i carabinieri, che lo portano via, gli dicono che un loro commilitone è stato ucciso, in una caserma, questo sarà lo spunto per altri pestaggi, stavolta specialmente con calci. C'è anche il passaggio in un ospedale per una medicazione, fra medici sbalorditi, indignati. Poi - ormai è notte - via su un torpedone verso il carcere di Pavia, la cella di isolamento: la richiesta di poter orinare prima del viaggio viene respinta con un pugno sul viso ferito e invito al fachirismo o al farsela addosso, comunque unica violenza fisica da parte della polizia penitenziaria. Poi la prigione, senza ora d'aria, con poco cibo e l'acqua calda del rubinetto. Passa tutto il sabato, passa tutta la domenica. Tocca agli infermieri del carcere inorridire per le ferite da medicare. Al lunedì mattina la decisione del magistrato, sollecitato da un bravo avvocato che sa smontare le accuse inventate sul verbale in fotocopia, come quella di detenere uno scudo in plastica, vistoso e imbarazzante, ancorché strumento di difesa, non di offesa, ma inesistente, inventato. Fra la decisione del magistrato e la scarcerazione passano sei ore per le cosiddette pratiche burocratiche. Sei ore di vita libera tolte ad un ragazzo pienamente scagionato. Sei ore di attesa per noi nel forno davanti al carcere. E' uscito senza la telecamera ed uno zainetto, spariti. Gli hanno ridato il telefonino, lo aveva in tasca, è stato distrutto dalle manganellate. Ho saputo venerdì nella notte, da una telefonata dei carabinieri, che era in arresto e "stava benissimo". Non mi hanno detto altro. Mi sono precipitato a Genova, comunque. Era l'alba di sabato, telefonando ai carabinieri ho saputo che ero stato stupido a mettermi in viaggio, chissà dove era mia figlio, Mi hanno detto comunque di un avvocato di ufficio, nome e cognome: ma al telefono c'era soltanto una voce meccanica. Ho trovato aiuti da giornalisti amici, ho trovato un bravo avvocato, la procura di Genova era aperta e collaborativa, ho saputo del trasferimento a Pavia. Ho goduto della posizione di giornalista per rintracciare qualche informazione, molta solidarietà. Ed anche per essere allenato a come avrei visto mio figlio: colleghi esperti mi hanno detto, sì, di prepararmi a vederlo conciato male. Ma nonostante tutto da venerdì notte alla fine della giornata di lunedì ho vissuto una situazione da "Missing", il film americano sulla tragedia del Cile ma anche sull'angoscia che ti prende quando sai poco o nulla di una persona cara portata via, nella mia angosciata particolare esperienza di immaginarti il figlio con le sue ferite, per anestetizzarti all'impatto (non servirà a nulla, sarà comunque una cosa tremenda). Un bravo magistrato ha interrogato, eseguito riscontri, ascoltato testimonianze, e non ha creduto alle accuse a mio figlio elencate in un verbale che pareva proprio prestampato, eguale per tanti, ha creduto al racconto dolente ed angosciato di un ragazzo nonostante tutto più stupito che indignato, più sereno che dolente. Nella giornata passata fuori dal carcere di Pavia ho parlato con tantissimi parenti e amici di altri di quei provvisori desaparecidos. Ho visto uscire dal carcere altri ragazzi coperti di ferite. Ho potuto anche pensare che a mio figlio è andata bene, non è stato colpito alla pancia, ha avuto un avvocato solerte, ha trovato i suoi genitori fuori dal carcere ad aspettarlo, nei limiti del possibile confortarlo. Una parlamentare che ha visitato il carcere ha parlato a noi in attesa di ragazzi feriti, distrutti, piangenti, brutalizzati direttamente dai colpi presi, indirettamente dalla situazione kafkiana dell'isolamento. Lui mi ha detto che le visite di parlamentari e consiglieri regionali sono state un balsamo comunque, per quel poter parlare serenamente di qualcosa con qualcuno, senza prendere colpi e ricevere insulti (una bella - cioè orribile - antologia, quella delle aggressioni verbali in pratica continue, l'ha messa per iscritto quando in carcere ha avuto una penna e qualche foglio, c'è davvero tutto per umiliare uno che patisce anche le parole). Ho provato a chiedermi, da democratico assoluto, disperato, se proprio non è possibile ad un cittadino filmare della sua Italia, oltre che i monumenti e i tramonti e le feste di famiglia, anche una manifestazione di protesta senza dover essere brutalizzato, ridotto ad un manichino sanguinolento, sfregiato sul viso per sempre, da forze dell'ordine violente con i deboli e impotenti di fronte ai veri violenti, visibilissimi, colpibilissimi, le tute nere, nella fattispecie di Genova. Cercherò di saperlo per vie legali, confido nella legge. Mio figlio mi ha detto - spero perché ferito ed umiliato, non perché definitivamente portato ad una scelta - che rinuncia agli ideali. Ma non ci credo. E comunque ha rifornito di ideali me.

Gian Paolo Ormezzano



LA QUESTIONE non è se il ministro dell'Interno, Claudio Scajola, debba dimettersi o restare al Viminale, per il momento. Quello che è accaduto a Genova non può precipitare subito nella polemica politica fra governo e opposizione. Qui non sono ancora chiari i fatti e, fin quando non lo saranno, ogni responsabilità sarà scolorita e troveranno spazio soltanto le strumentalizzazioni, i pregiudizi, le convenienze di schieramento, mentre altro sembra in gioco. In gioco sembra esserci il diritto di manifestare la propria opinione nel rispetto delle forze di polizie e i limiti a cui devono sottostare polizia e carabinieri nel garantire l'ordine. Dall'altro lato, la fiducia che le forze dell'ordine devono avere nel rispetto delle regole di convivenza civile da parte di chi manifesta. E' un problema che non si ferma, purtroppo, a Genova, ma che potrebbe ripresentarsi nei prossimi mesi se l'Italia dovesse affrontare una situazione di acuta tensione politica e sociale. Non c'è soltanto la globalizzazione. L'agenda politica offre un calendario (pensioni, scuola, sanità, relazioni sindacali) denso di occasioni di confronto e scontro. Il ministro dell'Interno ha dato la sua ricostruzione dei fatti alla Camera l'altro giorno. E' stata una ricostruzione superficiale, come un chiacchiericcio fra poliziotti in Questura. Ben altre sono le risposte che ci aspettavamo alle questioni ancora oscure e che rendono incomprensibili le giornate del G8 genovese. Qui tenteremo di proporne qualcuna. Conviene cominciare dalla prevenzione degli episodi di violenza e dal controllo del gruppo più aggressivo dei Black Bloc. Non è un mistero per nessuno che, fin dalla primavera, c'era una sola preoccupazione ai piani alti del Viminale: l'arrivo in Italia delle "tute nere". Questo giornale ne rendeva conto il 27 maggio, con un articolo dal titolo "La minaccia dei Black bloc, l'anima nera del movimento". Ora, è lecito chiedersi perché i Black bloc non siano stati fermati prima che si mettessero in azione nel corpo vivo del pacifismo in corteo. Ecco la prima domanda a cui il ministro avrebbe dovuto rispondere. A Quarto, nei pressi di Genova, davanti all'Ospedale psichiatrico, la Provincia ha a disposizione un maxicomplesso con uffici, scuola superiore, asilo nido, due palestre, un teatro, il parco. Quest'area è stata concessa al "Network", l'ala radicale degli anti G8 che comprende centri sociali - estranei alle "tute bianche" - e i Cobas. Di questo complesso resta ben poco: gli uffici sono stati distrutti, i computer spazzati via e il presidente della Provincia, Marta Vincenzi, conta 4 miliardi di danni. Fin da mercoledì sono stati i Black bloc a occupare l'area a suon di calci, bastonate e minacce cacciando via tutti gli altri. Per quattro giorni sono stati padroni assoluti del territorio. Bene, Marta Vincenzi racconta che fin dalle 11 di sera di giovedì la giunta, gli assessori, i direttori dei servizi provinciali hanno segnalato quel che stava avvenendo in Questura e in Prefettura. A scanso di ambiguità, c'è anche una denuncia scritta. Nessuna perquisizione del luogo è stata ordinata dalla Questura che ha inviato, soltanto la mattina di sabato 21, una camionetta della polizia. I poliziotti si sono tenuti ben lontani dall'edificio, accontentandosi di dare una sbirciatina. È da Quarto che, da molteplici testimonianze raccolte dai cronisti di Repubblica, alcune centinaia di "tute nere" si sono mosse verso il centro di Genova giungendo a 200 metri da via XX Settembre, distruggendo al loro passaggio negozi, banche, auto. Qualche domanda al ministro. Perché l'edificio di Quarto non è stato perquisito prima dell'avvio del G8? E perché non è stato perquisito neanche dopo il primo giorno di violenze? Quante erano davvero le "tute nere"? Il ministro parla di 5 mila. I testimoni oculari sparsi nella città indicano invece in non più di 300/500 i violenti, di cui soltanto 100 sistematicamente dediti ad assalti e devastazioni. Seconda domanda. È stato confermato dall'Arma dei carabinieri che alcuni agenti, sotto copertura, hanno infiltrato le "tute nere" durante i giorni di Genova. Come è ovvio, nessuno si scandalizza che questo avvenga nelle particolari circostanze che si stavano creando. Ma se infiltri un gruppo di violenti è per prevederne le mosse, localizzarne i luoghi di ricovero, neutralizzare il loro arsenale, arrestarli o fermarli, prima che possano raggiungere i loro obiettivi. Nulla di tutto questo è accaduto a Genova. E allora perché infiltrare il gruppo? Anche questa domanda merita una risposta del ministro dell'Interno, che non può essere, tuttavia, l'unico destinatario degli interrogativi di questi giorni. Se si vuole sfuggire al gorgo di inutili polemiche politiche che lasciano ognuno nei propri pregiudizi, è doveroso che anche la leadership del Genoa Social Forum sciolga qualche nodo. Il Tg5 di domenica alle 20 ha mostrato le immagini di un furgone, parcheggiato in una strada di Genova, mentre si svolgeva la manifestazione del giorno precedente. Nel furgone, un ragazzo distribuiva bastoni di legno e mazze ferrate. Bene, quello stesso furgone era stato parcheggiato, nei giorni precedenti, in via Ciclamini, dove erano acquartierati i manifestanti dei Cobas. In quello stesso campo, sono state sequestrate 62 mazze ferrate, che erano di giorno in giorno caricate su quel furgone, preso in affitto a Torino da un anarchico. È possibile che nessuno dei responsabili del "campo" abbia visto? È legittimo che chi ha visto abbia taciuto, anche quando, nel corso del tempo, è parso evidente che i più violenti usavano i non violenti, come schermo per le loro imprese? Noi non lo crediamo. Nonostante sia lecito ipotizzare che parte del movimento no global abbia sottovalutato o tollerato o, addirittura, sia stato complice delle imprese dei gruppi più aggressivi non è lecito, e non può esserlo in un paese di democrazia evoluta, che le forze dell'ordine si abbandonino in presenza di questa ipotesi o anche di una certezza, a violenze inutili, vendicative. Se i silenzi del movimento no global rappresentano una grave responsabilità politica che rischia di travolgere le ragioni del movimento, le violenze delle forze dell'ordine costituiscono una pericolosa défaillance istituzionale. A questo proposito, ci sono per lo meno tre domande a cui il ministro dell'Interno dovrebbe rispondere. Perché venerdì 20 luglio per tutta la mattinata le "tute nere" hanno potuto abbandonarsi ad una distruzione sistematica? Perché carabinieri e polizia si sono messi in moto, dietro una raffica di lacrimogeni, in via Tolemaide soltanto nel pomeriggio quando, alle 15, è partito il corteo pacifico dei non violenti, che procedeva senza che volasse una pietra, un urlo, un bastone? Queste risposte, ormai, il ministro dell'Interno e il governo le debbono non soltanto all'opinione pubblica italiana. Dal New York Times al Los Angeles Times, dal Financial Times alla tedesca Bild, dagli inglesi Sunday Times e Guardian, i grandi giornali internazionali raccontano delle violenze gratuite subìte da manifestanti non violenti. Soprattutto, in due luoghi, che coincidono con i protagonisti. Primo luogo: gli edifici scolastici Diaz e Pascoli in via Cesare Battisti. In queste due scuole è intervenuto il Reparto Celere di stanza nella caserma di Bolzaneto. Quel che è accaduto alla Diaz e alla Pascoli lo abbiamo potuto vedere tutti nei suoi effetti. Le immagini televisive ci hanno mostrato sangue sui muri, sui pavimenti, sulle cose. Abbiamo visto uscire dall'edificio ragazzi con la testa rotta, senza denti, con le braccia spezzate. Erano responsabili di aver celato macchine fotografiche, olio abbronzante, tamponi, coltelli da campeggio, e certo anche due molotov. Ma è legittimo usare violenza contro tutti per punire la responsabilità di pochi? Ed è legittimo accusare addirittura di associazione per delinquere tutti coloro che avevano trovato ricovero in quel complesso scolastico? Ma quel che è accaduto nelle due scuole non è nulla rispetto a quanto è successo nella caserma del Reparto Celere di Bolzaneto. Già Le Monde e El Pais di ieri hanno raccolto le testimonianze degli sventurati che si sono trovati in quel luogo in stato di fermo. Nelle nostre cronache troverete la testimonianza di Evandro Fornasier. Il suo racconto obbliga il ministro dell'Interno ad una risposta. "A turno - racconta Fornasier, come già Adolfo Sesma e Luis Alberto Lorente a El Pais e Vincent a Le Monde - entravano militari a usarci violenza: ci sbattevano la testa contro il muro, ci davano calci sui testicoli, schiaffi, colpi al torace, gas urticante in faccia e insulti continui: "Comunisti di merda, froci". Oppure: "Perché non chiamate Bertinotti o Manu Chao ?". Signor ministro, chi dirige il Reparto Celere di Bolzaneto? È stata una iniziativa di questo dirigente il pestaggio sistematico dei fermati? Oppure, a questo dirigente è stato dato un ordine? E da chi? Signor ministro, l'idea che non esistono fatti, ma solo interpretazioni non è solo falsa, ma può diventare pericolosa perché se la democrazia, e le regole della democrazia, diventano soltanto un punto di vista, alla democrazia conviene preparare il funerale.

Anna Chiara Novero



"Vestiti da noglobal e armati nella sala operativa dei Cc"
ROMA (CNN) -- Pestaggi, conduzione "inesistente della piazza", esistenza di infiltrati dotati di armi improprie. Per denunciare questo e altro nel pomeriggio di lunedì i parlamentari dei Verdi e di Rifondazione comunista che erano a Genova negli ultimi giorni hanno convocato una conferenza stampa. Iniziata con una dichiarazione del Verde Paolo Cento: "Chiediamo ai presidenti di Camera e Senato - ha detto Cento - di adoperarsi presso il ministro dell'Interno per il ripristino del pieno diritto della funzione parlamentare ad esplicare il proprio ruolo anche in contesti come quello di Genova, dove invece parte del territorio è stata sottratta al controllo parlamentare e della sovranità nazionale". Fra le dichiarazioni più inquietanti, quella del capogruppo di Rifondazione al Senato e avvocato Luigi Malabarba: "Era venerdì pomeriggio, prima della morte di Carlo Giuliani. Seguivo le vicende di tre fermati, fra cui uno ferito a un occhio, con frammenti di vetro dentro al bulbo, di cui tentavo di ottenere un rapido trasferimento in ospedale. Al momento dei fermi, in piazza Rossetti, mi ero qualificato. Ero stato insultato dai carabinieri. Data la mia insistenza sono stato strattonato, finché, grazie alla disponibilità del colonnello Leso, sono potuto entrare dentro il centro operativo dei carabinieri, alla Fiera di Genova". Lì, il deputato avvocato è stato lasciato in attesa di un pronto rilascio dei tre fermati, due greci e il redattore, ferito, di una radio di Brescia. "C'era molto via vai, nessuno faceva caso a me", spiega ancora Malabarba. E poi tira fuori un foglio: "Ho scritto tutto, per essere preciso". Legge: "Oltre al personale in divisa e agenti italiani in borghese e al personale tecnico e di servizio, si aggiravano gruppi di persone che entravano e uscivano regolarmente dal Centro operativo vestiti come i manifestanti (con jeans e magliette di vari colori, nere, ma non solo). Alcuni di loro avevano tra le mani tubi di metallo e pezzi di legno. Alcuni parlavano tra loro in francese, i più numerosi. Altri, una decina, credo in tedesco. Il rapporto con i carabinieri era tale da configurare una collaborazione, mentre era da escludere che si trattasse di aderenti alle manifestazioni".
Impossibile comunicare con forze dell'ordine. Gli insulti come le botte sono toccati a molti altri parlamentari. Ma loro tenevano di più a dare ai cronisti un collage che contribuisse al quadro generale. Che Elettra Deiana descrive così: "Il 20 e il 21 a Genova sono state sospese le garanzie costituzionali". Lei è stata picchiata, ma vuole raccontare un'altra cosa: "In piazza, nessuno aveva la responsabilità, fra le forze dell'ordine. E secondo me questo era fatto apposta per creare sbandamento e panico. La cosa più grave che ho visto è stato un elicottero che bombardava di lacrimogeni un pezzo di corteo, bloccato dalle azioni di guerriglia, in cui c'erano solo persone pacifiche, signore in età, due in sedia a rotelle". "Erano le tre e mezza di venerdì pomeriggio - prosegue Deiana - e io partecipavo all'azione pacifista e femminista di piazza Manin. Arrivati lì, non abbiamo trovato neppure una camionetta di polizia. Solo i cartelli dell'assegnazione alla Rete Lilliput. C'erano canti, balli, palloncini, eccetera. A un certo punto arrivano 30 energumeni vestiti di nero che corrono inseguiti dai carabinieri. Noi ci siamo messi da un lato a presidiare la piazza con le mani alzate. I black bloc sono spariti in una strada laterale. I carabinieri, arrivati in piazza, hanno sparato lacrimogeni contro di noi. E' seguita una carica violentissima. Io mi sono qualificata, ho indicato la via di fuga dei black bloc: inutile". Franco Giordano, Rifondazione, racconta di come si sia trovato al telefono con il questore di Genova: "Gli dicevo che a Punta Vaglio stavano caricando tutti, sparando lacrimogeni anche su ignari bagnanti, ma lui rispondeva che lì non gli risultava ci fossero forze dell'ordine". Loredana De Petris, Verdi: "Non abbiamo potuto avere un rapporto costante con le forze dell'ordine. Il giovedì sera, in questura, ci avevano dato i numeri di cellulare degli uomini della Digos. Ma il giorno dopo, erano tutti spenti. La notte di sabato, mentre era in corso l'irruzione, dopo un'ora di mattanza senza che noi potessimo entrare, viene a parlare l'addetto alle relazioni esterne del Viminale, Roberto Sgalla, e ci prende in giro. Io chiedevo di far entrare gli avvocati, lui rispondeva di non vedere avvocati, mentre dietro di me gli avvocati sventolavano i tesserini dell'ordine. Quell'attacco alla Diaz è stato a freddo, premeditato. E poi, hanno colpito sempre dove erano i più pacifici".
Il movimento e i Black bloc. Grazia Francescato, Verdi: "I violenti non voglio neppure chiamarli anarchici. Sono solo dei devastatori. Però non capisco perché, arrivata sabato notte vicino alla scuola Diaz, ho visto dei gruppetti di loro, dei Black bloc, ciondolare tranquilli per strada, ignorati dalla polizia. O non avevano paura, o erano infiltrati. Molte cose mi hanno fatto pensare a una strategia per gettare discredito su tutto il movimento antiglobalizzatore. E l'irruzione è stata più grave della gravissima uccisione di Carlo Giuliani. Lui bene o male stava compiendo un'azione violenta, quelli svegliati dalle botte no. Ho vissuto tre mesi nel Cile di Pinochet: era così. E non c'era interlocutore fra le forze dell'ordine: è questo il fatto che fa pensare al Cile". I parlamentari riflettono anche sul problema del movimento con i Black bloc. Dice ancora Francescato: "Noi siamo contrari anche ai gesti simbolici, anche alla disobbedienza civile delle Tute bianche. Non dovevano dire che avrebbero varcato la zona rossa". Aggiunge Luana Zanella, Verde: "Questo movimento è nuovo. L'ha descritto bene Naomi Klein. Niente capi, niente gerarchie, niente strutture organizzative. Noi siamo consapevoli di questo e per questo abbiamo prestato i nostri corpi. Ma il governo non ci ha usati come mediatori, come poteva invece fare. Gli uomini della Digos di Venezia, che io conosco, mi rispondevano in piazza che la direzione non era ordinaria, era a livello internazionale. Loro non potevano fare nulla". Ma avere un servizio d'ordine non sarebbe stato utile, per i manifestanti? Qualcuno che ad esempio controllasse chi dormiva nella Diaz? "E' il Genoa social forum che ci deve pensare - dice Paolo Cento - Da parte nostra sarebbe una riflessione impropria. Noi comunque pensiamo che l'epoca della militarizzazione dei cortei con i servizi d'ordine è finita. Rischierebbe di uccidere la novità di questo movimento. Ci vuole una risposta nuova. Non ci faremo riportare agli anni Settanta". Fuori dalla Camera, c'è la manifestazione che chiede le dimissioni del ministro Scajola. Un cartello cita: "Frase scritta nello stadio di Santiago del Cile nel settembre 1973: 'Quando vidi il manganello accanirsi sui tasti della macchina da scrivere e sulle corde della chitarra, allora compresi cos'era il fascismo'. Luglio 1960, Tambroni riferisce alle Camere dopo la strage di Reggio Emilia: 'Circondati dai dimostranti che tiravano sassi, gli agenti furono costretti a sparare per legittima difesa'". Da Ancona, fanno sapere, il portavoce dei centri sociali del Centro Est Paolo Cogniti denuncia: "A Genova si è sparato sui cortei. Le armi da fuoco sono state usate fin dalla mattina del 20. Stiamo tutti raccogliendo materiale per fare un libro bianco con Amnesty International". Dal megafono, annunciano: "Domani tutti a piazza Esedra alle cinque e mezza".

Alessandra Baduel - CNNitalia



ciao a tutti (a chi non c'era e anche a chi c'era)
sono tornato da 4 ore da genova e sento il dovere di comunicare alle persone che mi conoscono e che sono sicuro non mi considerano un pazzo, mitomane, esaltato, quello che sento e penso. Ho lasciato passare qualche ora perché non volevo dare comunicazioni eccessivamente influenzate dall'emotività a persone che non erano presenti e che, naturalmente, non possono nemmeno immaginare cosa è successo. Alcune immagini televisive e non pochi articoli pubblicati dai quotidiani di tutta europa in questi giorni hanno reso l'idea, ma la realtà vissuta, credetemi, è molto più forte. Nelle giornate di venerdì e sabato a genova è stato superato un punto di non ritorno a livello internazionale, ma anche e soprattutto a livello nazionale. Ho visto, insieme a decine di migliaia di persone e centinaia di telecamere e macchine fotografiche, cose inaudite in un Paese che si definisce democratico. E la nota fortemente positiva è proprio questa: siamo in tanti ad aver visto e vissuto quanto successo e abbiamo il dovere di comunicarlo al maggior numero di persone. Io, insieme ad altre centinaia di persone, ho avuto la fortuna e il privilegio di esserci da mercoledì sera a domenica sera e di avere così un quadro piuttosto completo di quanto è accaduto. Invito tutti coloro che c'erano a parlare, mandare e-mail, telefonare, comunicare a tutti quelli che conoscono quanto hanno vissuto, perché è necessario che la maggior parte di persone venga a conoscenza e si renda conto del clima veramente pesante che si è creato. Nel modo più sintetico possibile, parto dalla fine e ritorno indietro...
Domenica 22 ore 12: con il caro amico con cui mi sono recato a genova vado alla scuola A. Diaz di via Battisti 5 perché apprendo dai giornali che nella notte c'è stata un'irruzione della polizia. Da alcune ore, decine di persone si aggirano per le aule, i corridoi, le scale guardando attoniti e immaginando quanto è successo poco dopo mezzanotte. Le immagini le avete viste tutti in tv, ma calpestare le pozze di sangue rinsecchito, vedere gli schizzi di sangue sui muri, i vetri degli armadi distrutti imbrattati di sangue, le biro, i giornali, i pezzi di carta, gli indumenti per terra sporchi di sangue è agghiacciante. La rabbia, il senso di impotenza, la voglia di denuncia, il terrore che qualcosa sia radicalmente cambiato rispetto a sole 48 prima è devastante. Immaginare quanto è successo, grazie alle molte testimonianze e ai segni indelebili dei manganelli sui muri, sui vetri e, soprattutto, sulle persone è indescrivibile. La polizia, in assetto antisommossa, ha fatto irruzione (senza alcun mandato, in un edificio concesso ufficialmente dalla Provincia di Genova al Genoa Social Forum-GSF per ospitare il pernottamento dei manifestanti) nella scuola dove un centinaio di persone stavano dormendo, ha tenuto fuori dai cancelli alcuni deputati, avvocati dell'associazione "giuristi democratici" e alcuni giornalisti che dormivano nell'edificio di fronte, e ha massacrato di manganellate le persone che stavano dormendo. Ha inseguito e randellato quelli che cercavano di sottrarsi alla violenza, per altro senza alcuna via di fuga. Una "tonnara" che ha portato oltre 60 persone in ospedale, alcune ancora nei sacchi a pelo. Un giornalista che si avvicina mostrando il pass viene invitato minacciosamente da un celerino a metterselo nel culo, mentre una poliziotta con casco e manganello indossa beffardamente una maglietta gialla del GSF. L'arsenale ritrovato, dichiarato dalle autorità di polizia, è una totale bufala. La scuola è in ristrutturazione e sui due lati ricoperta da impalcature. Su ogni balcone si trovano tubature lasciate dai lavoratori edili che stanno ristrutturando l'edificio: potevano essere centinaia le spranghe ritrovate. Negli armadietti, però, le bottiglie di alcool, ammoniaca, conegrina, manici di scope e scopettoni sono tutte al loro posto, come le avevano lasciate i bidelli un mese fa. I computer utilizzati dai ragazzi (molti dei quali passavano ore nei giorni precedenti a preparare canti e rappresentazioni pacifiche di protesta nel cortile della scuola) sono tutti distrutti, mentre quelli ancora incellofanati dei laboratori di informatica sono intatti. Nel corso della conferenza stampa tenutasi in mattinata, i "responsabili" della polizia hanno risposto con un arrogante silenzio alla domanda del giornalista greco che chiedeva le prove del fatto che l'armamentario presentato ai giornalisti fosse effettivamente stato sequestrato in quei locali; e col silenzio hanno risposto alle domande successive. E' possibile che qualche imbecille devastatore si fosse intrufolato nella scuola a dormire (non venivano chiesti documenti alle persone e, comunque, se non sono stati identificati dalle forze dell'ordine, che dovrebbero farlo di mestiere, come potevano essere individuati dal GSF che ha accolto migliaia di persone?). Ma, com'è stato detto opportunamente nell'assemblea del pomeriggio, nulla giustifica comunque la violenza fascista messa in atto dalla polizia: è come se alla domenica negli stadi, in seguito ai puntuali danni provocati dagli ultrà (considerati ormai dai tutori dell'ordine normale conseguenza del disagio sociale di gruppi giovanili), venissero randellati tutti gli spettatori presenti. Contemporaneamente, nell'edificio che si trova di fronte alla scuola Diaz e anch'esso dato in dotazione dalle pubbliche autorità al GSF, tutti i presenti sono stati costretti a terra a lungo dagli agenti in borghese che hanno distrutto e sequestrato i tre computer su cui gli avvocati avevano riportato centinaia di testimonianze e denunce loro pervenute negli ultimi due giorni da parte di persone vittime di abusi e violenze messe in atto da polizia e carabinieri.
Sabato 21, dalle 14 in poi: tutti noi presenti abbiamo visto il più grande corteo degli ultimi 20 anni. Oltre 200 mila persone, di diversa nazionalità e connotazione culturale e politica, ma tutte insieme ad esprimere il proprio dissenso al tipo di globalizzazione in atto e per rivendicare la globalizzazione dei diritti. Non si era mai visto però un corteo così imponente non preceduto dalle forze dell'ordine. Poi si è capito perché. Appena partito, il corteo è stato preceduto di alcune centinaia di metri da poche decine di imbecilli sfasciatutto, lasciati liberi di incendiare auto e vetrine per quasi mezz'ora di fronte ad un folto dispiegamento di forze "dell'ordine". Quando è stata decisa la carica, gli imbecilli si sono dileguati nelle vie laterali e in mezzo alle migliaia di persone del corteo, mentre la pioggia di lacrimogeni e le randellate delle forze dell'ordine si sono riversate sui manifestanti inermi e con le braccia alzate. L'orrore si è ripetuto diverse volte in vari punti del corteo, che è così stato spezzato in almeno quattro tronconi e ha riportato decine di feriti. In una carica della polizia, ho visto la polizia schierata correre contro la testa di uno spezzone di corteo invaso dai lacrimogeni e manganellare decine di persone immobili con le braccia alzate: ragazzi e ragazze, uomini e donne anche di 50/60 anni che stavano sfilando pacificamente e che non potevano muoversi perché dietro di loro erano bloccate decine di migliaia di manifestanti in attesa di proseguire il corteo. Una vergogna inaudita. In altre parti del lungo corteo volutamente spezzato e impossibilitato a sfilare, sono successe le stesse cose. Sono stati randellati indistintamente pacifisti, cattolici, giovani comunisti, anarchici, associazioni gay, di donne, ragazzini alla loro prima manifestazione... il tutto mentre gli imbecilli sfasciatutto scorrazzavano indisturbati per la città. In piazza Ferraris, dove doveva concludersi il corteo ma dove è giunto meno di un quarto dei manifestanti, sono stati sparati lacrimogeni sul palco mentre parlava un sacerdote. E' stato chiarissimamente praticato volutamente terrorismo per disperdere e sciogliere un corteo pacifico enorme: questo dimostra la forza del corteo che, così eterogeneo e così grande, ha fatto paura per il suo potenziale simbolico e per la forza della protesta. Venerdì 20, dalle 11 in poi: la piazza di Brignole è circondata da container e forze "dell'ordine" in assetto di guerra con una sola apertura che serve per far affluire i manifestanti che intendono assediare la "zona rossa", grigliata da barriere invalicabili. Si prepara una tonnara, ma non c'è il tempo di attuarla perché centinaia di imbecilli sparsi ovunque in gruppetti e giunti improvvisamente nei punti di ritrovo organizzati per l'assedio simbolico della zona "off limits" lanciano molotov e iniziano una guerriglia urbana che durerà almeno 6 ore. Appaiono e scompaiono improvvisamente devastando tutto, tra centinaia di auto, moto, scooter e motorini guidati da agenti in borghese (ne partono e ne arrivano in continuazione dal parcheggio a fianco della questura, dove mi trovo a telofonare in una cabina), che scorrazzano per tutta la città. Da tre giorni la presidente della Provincia di Genova segnalava la presenza di centinaia di questi deficienti in una scuola di Quarto, da loro occupata: nessun poliziotto si è recato sul posto. Così come nessuno è andato nel parco dove ne campeggiavano altre centinaia descritti puntualmente da una giornalista del Manifesto (22 luglio, pag. 6). Tutte le cariche di polizia e carabinieri avvengono dopo le devastazioni e ai danni dei manifestanti. Ma questo è stato ampiamente documentato... fino all'assassinio delle 17,30 in una situazione di caos generale.
Le manifestazioni pacifiche, simboliche, vengono interrotte dai blitz degli imbecilli e quindi attaccate dalle cariche della polizia con lacrimogeni, manganelli, idranti e blindati. Vengono massacrate di botte persone che fuggono terrorizzate: ragazzi e ragazze totalmente disarmati, giornalisti, persino una volontaria del pronto soccorso che sta medicando un ferito. Un furgone dei volontari del pronto soccorso del GSF, già perquisito 3 volte, viene attaccato dagli agenti in divisa, gli viene distrutto un vetro e sparato un lacrimogeno all'interno. Gruppi pacifici di manifestanti vengono inseguiti per chilometri, lontano dalla "zona rossa", e fatti oggetto di innumerevoli lanci di lacrimogeni. Filmati e fotografie documentano probabili infiltrazioni e connivenze tra agenti delle forze dell'ordine e imbecilli devastatori.
Giovedì 19: circa 50 mila persone sfilano nella manifestazione per i diritti dei migranti in un clima di totale tranquillità e festa. Il corteo è preceduto, a differenza di quello del 21, dalla forze dell'ordine e gli organizzatori trattano con il questore il percorso, modificandolo e allungandolo in totale serenità e intesa.
Non aggiungo altro. Non voglio esprimere alcun giudizio sulle molte e varie responsabilità che hanno provocato il disastro verificatosi nei giorni 20 e 21. Ma è necessario che il maggior numero di persone sappia e si renda conto del clima cupo e intimidatorio che è stato creato in questi giorni e nelle settimane precedenti. Sono in gioco il sistema democratico e i diritti di tutti. Solo una vastissima partecipazione può sconfiggere la violenza intimidatoria provocata e praticata. Solo una netta e forte presa di posizione contro questo nuovo clima di violenza può evitare il peggio. Siamo tutti responsabili di quello che succederà: da martedì, con le pacifiche manifestazioni di fronte alle prefetture dobbiamo far capire che non ci stiamo. Ma bisogna pretendere la partecipazione di forze politiche, sindacali, gruppi e organizzazioni democratiche, in modo da isolare le violenze che minacciano la protesta da tutte le parti e che rischiano di vanificare tutto e provocare una pericolosa degenerazione della situazione. L'abbiamo già visto e abbiamo il dovere di impedire che si ripeta.

Enrico



Visto che parlavamo dell'informazione che i  media non dicono vi faccio una breve cronaca delle testimonianze che ho  raccolto da chi è andato a Genova. Non ci metterò nulla di mio e vi  ricordo che sono solo poche voci tra le 300.000 persone presenti, ognuna  delle quali, sicuramente, avrebbe altro da aggiungere. Visti  pestare a sangue: bambini, vecchi, lupetti dei boy scout 13enni, paraplegici nelle carrozzine, handicappati, animali e qualunque altra  cosa si muovesse.  "....... ho visto caricare il corteo dei  pacifisti. C'erano molti con i  bambini piccoli sulle spalle, avevano  palloncini colorati e tamburelli. Tanti bimbi nel passeggino, disabili  nelle carrozzelle. Hanno picchiato tutti!......."  ".......ero  nel corteo dove c'era rifondazione. Avendo problemi con le gambe  (protesi, non può correre-nota mia-) ho cercato uno spezzone istituzionale pensando fosse più sicuro. Quando è arrivata la 1° carica  i compagni hanno sollevato di peso le carrozzine dei disabili che  c'erano per  cercare di salvarli........"  ".......è scesa una  vecchietta da un palazzo. Dopo ho saputo di 83  anni. Gridava ai  poliziotti che lei aveva già visto una guerra e certe cose  non le  voleva vedere più : zittita con il manganello......"  "........i genovesi  sono stati splendidi: ci davano acqua dai primi piani  con un tubo di  gomma attaccato al loro rubinetto. Una signora ci tirava i  limoni dal  primo piano (servono per contrastare un po' l'effetto dei  lacrimogeni -nota mia-). Aprivano i portoni per farci entrare. Tanti sono  stati  accolti nelle case........."  "........i vigili urbani (che sono sempre  sbirri -nota mia-) con le radio si  informavano dove c'erano le cariche  in quel momento e ci dicevano dove  passare......"   "............la croce rossa aveva istituito una specie di campo di   soccorso, nel campeggio, e lì ci portava la gente spiegandogli che non  li  portavano in ospedale per non essere arrestati o picchiati  ancora......."  "........al San Martino è arrivata un'ambulanza con una  ragazza grave. Il  medico dell'ambulanza diceva che aveva la milza  spappolata ed emorraggie  interne e doveva essere operata subito. Gli  sbirri che erani lì, in attesa  di tutti i feriti (quelli messi proprio  male perchè ad una manifestazione  nessuno va a farsi medicare in  ospedale, se non vuole rischiare come minimo  l'arresto -nota mia-),  hanno bloccato tutto dicendo che la prendevano loro.  Il medico si è  incazzato e questi gli han risposto di non preoccuparsi che  si  prendevano loro la responsabilità....ma lui ha insistito: botte  anche al  medico!........"  "..........in mezzo a tutti i  negozi sbarrati abbiamo trovato una farmacia  aperta. Forse il farmacista  l'ha fatto di proposito per dare aiuto. Ci ha  venduto di tutto: bisturi,  filo da sutura, fiale di toradol (potente  antidolorifico -nota mia-),  disinfettante, graffe ed ogni altro genere di  cose,  spiegandoci  come usarle. Tutto, ovviamente, senza ricetta ed al  momento di pagare ci  ha chiesto come eravamo messi a soldi. Ci ha chiesto  meno della metà di  quanto avevamo (100.000 circa) per due borse della spesa  piene di  roba costosissima......."  "..........c'erano alcuni medici ,  probabilmente abitavano lì, che  scendevano in strada per soccorrere i  feriti: quelli che la polizia ha  visto sono stati menati......"   ".....al campeggio , dove c'era la croce rossa, è arrivato un ragazzo   sanguinante che piangeva. In braccio aveva un cucciolo di boxer, il suo   cane. Chiedeva aiuto perchè il cane non riusciva più a respirare dalle   botte che gli avevano dato. Hanno dato l'ossigeno anche al cane......"   "......prendo la pillola, quindi le mestruazioni non mi possono venire,  se  non nella pausa di interruzzione. Ad un certo punto mi sono accorta  che  perdevo sangue, avevo i pantaloni tutti macchiati. Sono andata dove  c'era  la Cri per chiedergli se avevano assorbenti o tamponi. Quando gli  ho  spiegato la cosa mi hanno presa e subito fatto un lavaggio di occhi  e  bocca. Poi mi hanno lavata con la pompa, con tutti i vestiti. Mi  hanno dato  un antiemorragico e mi hanno spiegato che era l'effetto  dei gas chimici che  sparavano (non erano solo lacrimogeni -nota  mia-), e di star tranquilla che  sarebbe passato in 24  ore......"  ".........i lacrimogeni li tiravano anche dall'elicottero. Un  ragazzo che  era con me ne ha preso in testa uno. Per fortuna non è  esploso subito. Gli  ha fatto un buco sulla testa e tutto intorno c'erano  bruciature. Si è poi  fatto medicare il giorno dopo a Torino. Gli hanno  dato diversi punti di  sutura interni ed esterni, ma almeno non l'hanno  denunciato......"  "........sul treno per Torino, al ritorno, ho trovato  alcuni cossuttiani  (il pci, le mummie, di cui fa parte anche mio padre,  il più giovane c'ha 60  anni- nota mia-),  tutti vecchi, tutti  pestati. Uno piangeva , da giovane  ha fatto il  partigiano........."  ".........non ho mai visto così tanti arti rotti e  così tanto sangue......."  "...........ho visto un filmato  dell'uccisione del ragazzo, la sera stessa  che è successo, al campeggio  dove dormivamo. Prima, con la  camionetta dei  carabinieri , c'era  un blindato con l'omino sopra attaccato alla   mitragliatrice....."  "........ho visto saltare una banca, forse con  dell'esplosivo. Alcuni di  questi in nero sembravano paramilitari. Mi  veniva in mente i berretti verdi  americani nei films...(che non ci  sia lo zampino della cia?- nota mia-) "
 Sull'assassinio quello  che ho trovato fra le e-mail da Ge, c'è una versione  che la famosa  camionetta stava per investire quei ragazzi. Probabilmente la   reazione è stata scatenata anche da quello.
 Per ora basta, non  mi viene in mente altro......e non ho ancora incontrato  tutti.  Probabilmente si potranno fare altre  puntate.
Saluti!.

Sara.



GENOVA - Un poliziotto che presta servizio al Reparto Mobile di Bolzaneto, e di cui Repubblica conosce il nome e il grado ma che non rivela per ragioni di riservatezza, racconta la "notte cilena" del G8. "Purtroppo è tutto vero. Anche di più. Ho ancora nel naso l'odore di quelle ore, quello delle feci degli arrestati ai quali non veniva permesso di andare in bagno. Ma quella notte è  cominciata una settimana prima. Quando qui da noi a Bolzaneto sono arrivati un centinaio di agenti del Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria".
E' il primo di uno dei molti retroscena sconosciuti del drammatico sabato del G8. Il nostro interlocutore ammette che "nella polizia c'è ancora tanto fascismo, c'è la sottocultura di tanti giovani facilmente influenzabili, e di quelli di noi che quella sera hanno applaudito. Ma il macello lo hanno fatto gli altri, quelli del Gom della penitenziaria".
E il pestaggio sistematico nella scuola? "Quello è roba nostra. C'è chi dice sia stata una rappresaglia, chi invece che da Roma fosse arrivato un ordine preciso: fare degli arresti a qualunque costo. L'intervento lo hanno fatto i colleghi del Reparto Mobile di Roma, i celerini della capitale. E a dirigerlo c'erano i vertici dello Sco e dirigenti dei Nocs, altro che la questura di Genova che è stata esautorata. E' stata una follia. Sia per le vittime, che per la nostra immagine, che per i rischi di una sommossa popolare. Quella notte in questura c'era chi bestemmiava perché se la notizia fosse arrivata alle orecchie dei ventimila in partenza alla stazione di Brignole, si rischiava un'insurrezione".
La trasformazione della caserma di Bolzaneto in un "lager" comincia lunedì con l'arrivo dei Gom, reparto speciale istituito nel 1997 con a capo un ex generale del Sisde, e già protagonista di un durissimo intervento di repressione nel carcere di Opera. Appena arrivati - vestiti con le mimetiche grigio verde, il giubbotto senza maniche nero multitasche, il cinturone nero cui è agganciata la fondina con la pistola, alla cintola le manette e il manganello, e la radiotrasmittente fissata allo spallaccio - prendono possesso della parte di caserma che già alcune settimane prima del vertice era stata adattata a carcere, con annessa infermeria, per gli arrestati del G8.
La palestra è stata trasformata nel centro di primo arrivo e di identificazione. Tutti i manifestanti fermati vengono portati qui, chi ha i documenti li mostra, a tutti vengono prese le impronte. A fianco alla palestra, sulla sinistra, accanto al campo da tennis, c'è una palazzina che è stata appositamente ristrutturata per il vertice ed è stata trasformata nel carcere vero e proprio. All'ingresso ci sono due stanzoni aperti che fungono da anticamera. Qui, la notte di sabato, fino a mattina inoltrata di domenica, staziona il vicecapo della Digos genovese con alcuni poliziotti dell'ufficio e qualche carabiniere.
"Quello accaduto alla scuola e poi continuato qui a Bolzaneto è stata una sospensione dei diritti, un vuoto della Costituzione. Ho provato a parlarne con dei colleghi e loro sai che rispondono: che tanto non dobbiamo avere paura, perché siamo coperti".
Quella notte. "Il cancello si apriva in continuazione - racconta il poliziotto - dai furgoni scendevano quei ragazzi e giù botte. Li hanno fatti stare in piedi contro i muri. Una volta all'interno gli sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno hanno pisciato addosso, altri colpi se non cantavano faccetta nera. Una ragazza vomitava sangue e le kapò dei Gom la stavano a guardare. Alle ragazze le minacciavano di stuprarle con i manganelli... insomma è inutile che ti racconto quello che ho già letto".
E voi, gli altri? "Di noi non c'era tanta gente. Il grosso era ancora a Genova a presidiare la zona rossa. Comunque c'è stato chi ha approvato, chi invece è  intervenuto, come un ispettore che ha interrotto un pestaggio dicendo "questa non è casa vostra". E c'è stato chi come me ha fatto forse poco, e adesso ha vergogna". E se non ci fossero stati i Gom? "Non credo sarebbe accaduto quel macello. Il nostro comandante è un duro ma uno di quelli all'antica, che hanno il culto dell'onore e sanno educare gli uomini, noi lo chiamiamo Rommel".
Che fine hanno fatto i poliziotti democratici? "Siamo ancora molti - risponde il poliziotto - ma oggi abbiamo paura e vergogna".

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